IL SEGNALIBRO DELL’ORSO Recensioni di narrativa e poesia, di autori noti e scrittori emergenti

Paolo Orsini • feb 16, 2024

…tutte le fate avevano circondato la sua culla donandole una la bellezza, l’altra la grazia, un’altra lo spirito, una la scienza e l’altra il cuore… Una bambina geniale

(François-René de Chateaubriand)

Marie Laetitia Bonaparte Wyse Rattazzi nacque il 25 aprile 1831 a Waterford, in Irlanda. La madre, Laetitia, era figlia di Lucien Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone, e moglie dell’ambasciatore britannico Lord Thomas Wyse. La coppia si separò nel 1828, dopo la nascita di due figli, Napoléon Alfred e William Charles. Laetitia si trasferì a Londra ed ebbe altri tre figli: Marie Laetitia, Adeline e Louis Lucien Napoléon. Il padre di Marie Laetitia era il capitano britannico John Studholme Hodgson, ma per evitare lo scandalo e garantire la legittimità della prole fu mantenuto il cognome Bonaparte-Wyse, nonostante la denunciata usurpazione da parte di Thomas, che rifiutò di riconoscere la paternità della bambina.

Principessa in virtù della linea di discendenza materna, trascorse la sua infanzia in Inghilterra, viaggiando spesso con la famiglia in Italia e in Germania, e trascorrendo le vacanze con i parenti presso Wiesbaden e Baden-Baden. Oltre al tedesco e all’inglese, imparò ben presto anche il latino, grazie a un’educazione attenta alla cultura classica. Si appassionò all’arte e alla letteratura e proseguì gli studi a Parigi fino a conseguire il diploma di insegnante per le scuole primarie e secondarie. Il 12 dicembre 1848 sposò il conte Frédéric Joseph de Solms. Ben presto, tuttavia, i due si separarono, sebbene in modo non ufficiale. Frédéric partì per l’America e Marie ebbe un figlio dal marchese Alexis de Pomereu, Alexis Napoléon Christian. Intanto a Parigi aveva aperto un salotto vivace e all’avanguardia, frequentato da intellettuali di primo piano come Eugène Sue, Alexandre Dumas, Eugène Scribe, Émile de Girardin, Jules Simon e altri scrittori e artisti che assunsero posizioni sempre più apertamente antinapoleoniche e filorepubblicane.

Nel 1851, ostile al colpo di Stato di Luigi Napoleone, Marie divenne uno dei suoi nemici più in vista, aggravando una posizione già particolarmente compromessa da forti liti interne alla famiglia. Il chiacchierato flirt con Napoleone III, i debiti e il lusso eccessivo, i suoi atteggiamenti eccentrici e poco attenti ai protocolli di corte la condannarono all’esilio. Fu accusata di essere una straniera e di usurpare il nome dei Bonaparte. Nel febbraio del 1853 ricevette l’ordine di abbandonare la Francia e ogni sua resistenza fu vana: prima scrisse una lunga lettera alla stampa per spiegare pubblicamente la sua posizione e rivendicare il coraggio delle sue opinioni; poi si appellò alla Corte del tribunale della Senna, ma perse il processo. Si trasferì quindi in Savoia, presso Aix-les-Bains, una delle cittadine più alla moda dell’epoca, dove rimase fino al 1863. Qui aprì un salotto presso lo Chalet de Solms, sul lac du Bourget.

La sua condizione di donna sola e la frequentazione di molti intellettuali di spicco alimentarono pettegolezzi e curiosità sul suo conto. Per l’opinione pubblica divenne una figura misteriosa e affascinante, spesso paragonata ai tanti modelli di femminilità eccezionale di cui lei stessa era ammiratrice: Madame de Staël, Émile de Girardin e George Sand. Gli aneddoti e le leggende di cui fu protagonista, le storielle provocatorie e gli scandali costruirono la sua immagine pubblica, ponendola al centro di un processo mediatico che segnò la sua vita e che la vide allo stesso tempo artefice consapevole. La sua passione per il teatro, la conoscenza delle dinamiche di potere e le sue amicizie letterarie furono tra le principali risorse che introdusse in questa battaglia mediatica. Si dedicò inoltre alla musica e alla pittura, componendo spartiti e realizzando quadri e disegni, anche se la sua attività principale rimase quella di scrittrice e drammaturga. Tra il 1862 e il 1866 scrisse cinque romanzi dedicati alla satira sociale.

La principessa era piuttosto alta. Aveva, come conveniva allora, un vitino da vespa, la gola, ben fatta, un po’ generosa, e le spalle scolpite. Le braccia delicate e rotonde, la mano perfetta, le dita affusolate. Si dice che avesse uno strano charme, a volte languido, voluttuoso e altezzoso; gli occhi, tagliati a mandorla, erano di un blu intenso, quasi nero; e siccome era leggermente miope le piaceva portare un occhialetto che metteva in risalto la sottigliezza del suo polso. (Rivista della Societé Savoienne di Aix-les-Bains, cit. da Caterina Perrone, pag.29)

I temi trattati spaziavano dalla reputazione delle donne, sottoposte al giudizio di un’opinione pubblica tirannica, alla natura fittizia e artificiosa dello scandalo e della celebrità, al matrimonio come mezzo di ascesa sociale. Pettegolezzi, frodi, ricatti, manipolazioni di notizie da parte della stampa e situazioni fortunate erano presentati come gli ingredienti base di un mondo che replicava costantemente lo star system. Nel costruire i suoi personaggi e le loro storie si lasciò influenzare dalle peripezie della sua biografia personale e rappresentò le sue eroine come icone romantiche e autentiche, spesso vittime di strategie macchinose ordite ai loro danni.

Il suo spirito critico si espresse anche nell’arte, con una serie di caricature raccolte in album, ispirate alle lezioni del maestro Honoré Daumier che aveva conosciuto a Parigi. Le sue figure erano sproporzionate, con teste grandi e corpi decisamente più minuti, e rappresentavano alcuni tra i protagonisti della politica del neonato Regno d’Italia: Bettino Ricasoli, Antonio Mordini, Emilio Visconti Venosta, Camillo Cavour. Amica e corrispondente di Daniele Manin e Vincenzo Gioberti, e grande ammiratrice di Giuseppe Garibaldi, il suo interesse per le questioni italiane si intensificò nel 1862, quando compose un poema dedicato al re Vittorio Emanuele per chiedere l’amnistia dopo i fatti di Aspromonte.

Nei suoi frequenti viaggi a Torino aveva aperto un salotto presso l’hotel Feder e nel 1863 sposò il ministro Urbano Rattazzi, appena poche settimane dopo la morte del conte de Solms. “è la prima gentilezza che mi fa da quando lo conosco”, dirà dopo la morte del marito. Con il nuovo matrimonio con Urbano Rattazzi, un matrimonio d’amore perché i due coniugi si amano davvero, alla cittadinanza inglese e francese, aggiunse così anche quella italiana. Dopo un periodo trascorso tra Torino e il lago di Como, dove Rattazzi aveva acquistato una villa per i soggiorni estivi, con il trasferimento della capitale italiana la coppia si spostò a Firenze. 

Arrivata a Firenze, abituata a essere osannata nei salotti parigini, si aspetta uguale trattamento, ma i fiorentini sono in subbuglio per l’invasione di 30.000 piemontesi a seguito dell’organizzazione statale italiana, in una città che nel 1865 contava 118.000 abitanti. Prezzi alle stelle, problema abitativi per i parlamentari, militari, funzionari, burocrati e impiegati piemontesi che si trasferiscono in massa, con le rispettive famiglie, sulle rive dell’Arno. I “buzzurri” come li chiameranno in senso dispregiativo i fiorentini, porteranno anche vantaggi per la città, come ristoranti lussuosi, bar e cioccolaterie sontuose. Anche il barone Ricasoli non gradisce questa invasione e dice che per la città è come bere una tazza di veleno. 

Quando la capitale italiana fu trasferita da Torino a Firenze, Madama Rattazzi non mancò di formare anche qui un circolo di collaboratori a lei vicino e le sue stravaganze in fatto di vestiario si fecero sempre più eccentriche. Ad un ballo comparve con una pelle di pantera molto succinta perché, diceva, voleva rappresentare Diana. Ma non è tutto: all’imbrunire del giorno si aggirava, insieme alla sua fedelissima dama di compagnia, tra le tombe del cimitero di san Miniato avvolta in lunghe vesti e veli neri. Le dame fiorentine non le perdonarono queste eccentricità e cominciarono a diffamarla ma lei, per niente remissiva, criticò sprezzantemente l’alta società fiorentina attaccandola nella satira Les chemins du paradis. Bicheville (Paris 1867). 

I suoi comportamenti eccentrici e istrionici, la scelta di indossare nelle serate mondane abiti succinti e trasgressivi destarono scandalo e imbarazzo, mettendola ancora una volta al centro di pettegolezzi, antipatie e maldicenze, che trovavano un’ampia risonanza nei giornali. 

Questa principessa de Solms è un tipo come fortunatamente non ne esistono in Italia. Molto bella, piena di spirito ma senza regole, né misura, né dignità, né buon senso. Scrive, parla e si veste magnificamente, ma su sei parole che dice, tre sono menzogne… A teatro si fa dare tre cuscini da mettere sulla poltrona per essere più alta della balaustra e si diverte a far cadere sulla platea un bouquet o qualche altra cosa per far voltare la gente (Barone Savio, cit. da Caterina Perrone, pag. 42)

Il suo salotto fiorentino si pose subito in concorrenza con quello di Emilia Peruzzi. Dice Caterina Perrone: “Emilia non si presenta come una intellettuale, il suo intento è piuttosto dare accoglienza e voce a chi, secondo il su punto di vista, lo merita. I suoi ospiti sono intellettuali, uomini politici, artisti, scrittori, giornalisti, non elezionati dal censo ma per il contributo che possono dare alla vita cultura della città; il suo obiettivo è favorire gli incontri e i confronti”. Marie Laetizia invece delle discussioni politiche preferiva i balli e le rappresentazioni teatrali, di cui era attrice e regista.

Nel salotto azzurro di Palazzo Guadagni uil giovedì sera Marie Laetitia invitava molte persone, ma tra questi pochi fiorentini. Sicuramente politici vicini al marito Urbano Rattazzi, ufficiali dell’esercito piemontese e tutto coloro a cui piaceva una serata movimentata e allegra. Si parlava francese, si ballava fino a tarda notte, in un tripudio di cornici dorate e di sontuosi lampadari di eleganza raffinata dei selezionati invitati. In una di queste sale di Palazzo Guadagni Caterina Perrone ha presentato il suo libro evocando con i suoi interventi appassionati e competenti l’atmosfera di eleganza e sontuosità. Raramente è possibile presentare le storie di un libro nei luoghi dove quelle storie sono avvenute più di un secolo prima. Caterina Perrone ha fatto questo graditissimo regalo a tutti i convenuti alla sua presentazione. 

Per concludere sentiamo cosa dice di se stessa Marie Laetitia: “Ho molto cuore e abbastanza spirito, ho poca testa e una grande goffaggine. Sono buona prchè è una grazia femminile e io voglio romanere donna… non sono abbastanza religiosa da perdonare, e neanche dimenticare le offese. Insomma ho delle grandi qualità e dei grandi difetti. Tra le mie qualità c’è la volontà di non sembrare perfetta. All'inizio della mia vita ero benevolente, senza essere banale, il mio spirito era portato a vedere il lato bello delle cose. Più tardi sono cambiata, ho perduto questa benevolenza, questo bisogno, questo desiderio di amare; a contatto continuo con il mondo sono portata non alla malevolenza, ma a vedere le persone e le cose sotto il loro aspetto peggiore o ridicolo... Sono dunque un'amica sincera, ma per contro una nemica pericolosa: non perdono mai e non dimentico mai.” Cit. Caterina Perrone, pag, 75

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