SEX AND SOLITUDE di Tracey Emin a Palazzo Strozzi di Firenze

Paolo Orsini • 3 maggio 2025

Ogni immagine è entrata prima nella mia mente,

ha attraversato il mio cuore, il mio sangue, arrivando infine

alla mia mano. Tutto è passato attraverso di me” Tracey Emin.

Tracey Emin, una delle artiste più controverse del panorama contemporaneo, ha trasformato la propria vita in arte con un linguaggio diretto e crudo, ma profondamente carico di richiami emotivi, che non lasciano assolutamente indifferente lo spettatore. 

Punto di partenza della mostra, la grande scultura in bronzo I Follewed Tou To the End, collocata al centro del cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi, si presenta soltanto apparentemente come figura astratta. Il corpo mutilato evoca sofferenza e prostrazione, e si oppone allo stereotipo dei grandi bronzi celebrativi delle personalità maschili ritratte di solito in posizione eretta o a cavallo. 

La pratica artistica di Tracey Emin è intimamente autobiografica: il corpo, la sessualità, l’amore, la solitudine e il trauma caratterizzano ogni suo lavoro. Gli eventi specifici della sua vita diventano potenti metafore visive, che evocano sentimenti profondi come passione e malinconia. 

La carriera di Tracey Emin è costellata di opere di vario genere: dai ricami all’uso del neon per frasi che riproducono la sua poesia, dall’acrilico al monotipo, fino alle sculture in bronzo, sia di piccolo formato che monumentali.

Tracey Emin è stata anche una figura centrale del movimento dei Young British Artists (YBA), distinguendosi per il suo approccio innovativo e provocatorio. Con un dialogo costante tra vulnerabilità e forza, la sua arte supera i confini della figurazione e dell’astrazione.

Tracey Emin ha sempre dichiarato una profonda ammirazione per artisti come Edvard Munch ed Egon Schiele, dai quali trae ispirazione sia sul piano tecnico che concettuale, esplorando tematiche legate alla fragilità umana per mezzo di raffigurazioni del corpo e delle emozioni.

Nel 1990, la sua tesi per il Royal College of Art di Londra s’intitolava My Man Munch. A Munch ha poi dedicato nel 1998 un video-omaggio intitolato Homage to Edvard Munch and all my dead children, realizzato sul fiordo di Oslo: nel video, Tracey Emin, nuda e in posizione fetale sul molo che si trova nei pressi della casa di Munch, sollevava la testa emettendo un urlo di gola, lamento per i suoi figli mai nati, e risposta all’Urlo di Munch. 

Nel 2015 l’artista ha curato una mostra al Leopold Museum di Vienna intitolata Tracey Emin and Egon Schiele: Where I Want to Go, creando un dialogo tra le sue opere e quelle del maestro austriaco. Questi interventi stanno a significare quanto Tracey Emin si consideri parte integrante di una progettualità artistica che mette in risalto l’emotività umana a discapito di altre raffigurazioni.

Tracey Karima Emin nasce il 13 luglio 1963 a Croydon da padre turco-cipriota e madre inglese di origine romnichal, gruppo rom stanziatosi nel Regno Unito a partire dal XVI secolo. Cresce a Margate, una cittadina costiera del Kent, dove vive un’infanzia segnata da difficoltà economiche e traumi personali. 

Margate, influenzerà profondamente l’immaginario dell’artista. A tredici anni subisce una violenza sessuale che lascia un’impronta indelebile nella sua arte. Questo trauma diventa una delle chiavi interpretative della sua produzione artistica: il corpo femminile ferito ma resiliente.

A quindici anni inizia un percorso di ribelle autodeterminazione: la fuga da casa rappresenterà non soltanto l’abbandono dell’ambiente familiare ma soprattutto l’inizio della costruzione della propria identità artistica. 

Margate resta comunque un luogo carico di significati simbolici, mai nostalgici: vi tornerà per aprire i TKE Studios, riservati agli artisti emergenti. Il legame con le proprie radici dimostra come l’infanzia turbolenta sia stata non soltanto fonte di sofferenza ma anche di ispirazione creativa.

Intervistata da Arturo Galansino di Palazzo Strozzi, Tracey Emin ha detto: “Quando frequentavo il Royal College of Art di solito prendevo un autobus da Elephant and Castle fino a Westminster e da lì con la metro arrivavo a South Kensington. A volte però restavo sull’autobus e scendevo alla National Gallery. Appena entrata, andavo subito al piano di sotto e lì disegnavo le icone o semplicemente mi guardavo intorno e prendevo appunti. Credo di averlo fatto un paio di volte a settimana per due anni, ed è a questo che devo la mia conoscenza della pittura e della storia dell’arte. Tutto quello che sapevo prima di allora era legato all’Espressionismo e all’arte europea di prima della guerra; all’improvviso ero stata catapultata in un altro mondo, avevo capito i classici e le loro idee. Era come un’espansione della mente. Quindi Munch era pre-National Gallery mentre la pittura rinascimentale e quella classica sono arrivate attraverso la National Gallery. E le ho imparate da sola, perché non ho mai veramente studiato storia dell’arte, ho solo approfondito l’arte che mi piaceva”.

La carriera artistica di Tracey Emin subisce una brusca interruzione negli anni Novanta a causa di due aborti traumatici che lasciano una ferita profonda nella sua vita personale e artistica al punto che decide di distruggere gran parte delle sue opere pittoriche. Si dedica ad altre forme espressive come il ricamo, le installazioni e i video. 

Questa fase rappresenta un momento cruciale nella sua evoluzione creativa: l’abbandono della pittura non è una rinuncia definitiva ma piuttosto una pausa necessaria per ampiare i propri orrizzonti artistici.

È in questo periodo che realizza Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995, una tenda ricamata con i nomi delle persone con cui aveva condiviso il letto (in senso sia letterale che metaforico). Quest’opera segna l’inizio della sua fama internazionale e dimostra come l’artista sia capace di trasformare esperienze intime in potenti dichiarazioni artistiche.

Si tratta di una tenda da campeggio, sulla quale Tracy Emin aveva cucito con la tecnica dell’appliqué i nomi di tutte le persone con cui aveva condiviso un letto dalla sua nascita fino a quel momento, non soltanto i suoi amanti con cui ha avuto rapporti sessuali, ma anche i familiari e gli amici con cui ha dormito. 

Luogo simbolico, santuario intimo che raccoglie tutte le relazioni dell’artista, patchwork visivo che riflette la varietà e la complessità delle sue esperienze nel quale lo spettatore era invitato a entrare per confrontarsi con le tematiche dell'intimità, della sessualità femminile e delle relazioni tra arte e vita.

La scelta di utilizzare una tenda da campeggio non era casuale: è un luogo di rifugio temporaneo, un riparo dalla realtà esterna, offre una prospettiva intima rivelando vulnerabilità e fragilità. Inoltre, la tenda evoca l’idea di nomadismo e di viaggio, suggerendo un percorso esistenziale in continuo movimento.

Purtroppo, Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995 andò distrutta in un incendio nel 2004. La perdita dell’opera fu un duro colpo per l’artista che la considerava fondamentale per la propria storia personale e artistica. Nonostante la sua distruzione, l’opera continua a vivere nell’immaginario collettivo come un simbolo dell’arte di Tracey Emin.

È del 1996 Exorcism of the Last Painting I Ever Made (“Esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto”), una performance che rappresenta un momento di svolta nella sua carriera, segnando il ritorno alla pittura dopo anni di abbandono. 

La performance come esorcismo, durata tre settimane e mezzo, durante le quali Tracey Emin vive e lavora nuda in uno studio temporaneo allestito come un’installazione. Lo spazio è accessibile al pubblico che può osservare l’artista attraverso degli spioncini mentre crea disegni e dipinti ispirati a Egon Schiele, Yves Klein e Pablo Picasso.

Il corpo nudo di Tracey Emin diventa insieme soggetto e oggetto della performance, sovvertendo il ruolo tradizionale di modella passiva della donna nell’arte. L’artista è protagonista attiva della sua narrazione artistica, combattendo gli stereotipi culturali che limitano la rappresentazione femminile.

L’azione dell’artista documenta non solo il processo creativo ma anche l’utilizzo della pittura come mezzo per riconnettersi con sé stessa, trasformando un’esperienza intima in un momento di introspezione radicale sul proprio passato.

Quest’opera, pietra miliare della carriera artistica di Tracey Emin, dimostra il ruolo dell’arte come strumento di guarigione e autoaffermazione e della spiccata capacità dell'artista di intrecciare vita e arte in modo indissolubile.

Ma l’opera più celebre, che l’ha consacrata a livello internazionale, è My Bed (1988), una rappresentazione senza filtri del letto dell’artista durante un periodo particolarmente difficile della sua vita, caratterizzato da depressione e abuso di alcol. L’opera include lenzuola macchiate, bottiglie vuote, pacchetti di sigarette e oggetti personali come biancheria intima sporca – dettagli che raccontano una storia di vulnerabilità umana con una sincerità disarmante

Esibita alla Tate Gallery nel 1999, l’opera, come era prevedibile, suscita reazioni contrastanti: da un lato viene lodata per la sua autenticità emotiva, dall’altro viene criticata da chi non la considera “arte”. My Bed non è soltanto un’opera autobiografica, ma rappresenta una metafora  del luogo – il letto - dove si consumano momenti cruciali della vita: nascita, morte, amore e sofferenza.

Il neon è uno degli elementi distintivi della pratica artistica di Tracey Emin con il quale riproduce testi poetici da lei stessa realizzati. Le frasi sono spesso brevi ma cariche di significato emotivo: I Never Stopped Loving You del 2010, dedicata alla cittadina di Margate, o Those Who Suffer LOVE del 2009 sono esempi emblematici, e lo stesso vale per Sex and Solitude (2025), creata per la mostra di Firenze a Palazzo Strozzi.

Le frasi al neon non sono mai semplici slogan ma frammenti poetici che combinano forza e fragilità e invitano lo spettatore a riflettere sull'esperienza emotiva dell'artista. La luce brillante del neon cattura lo sguardo mentre le parole lo scuotono emotivamente perché sono intime confessioni o verità dolorose. 

Nonostante sia nota per le sue installazioni, i suoi neon e i suoi ricami, uno dei mezzi espressivi più usati da Tracey Emin per esplorare i temi del corpo, della sessualità, dell’amore, della solitudine e del dolore, resta la pittura, intesa come linguaggio viscerale e caratterizzata da un approccio istintivo e gestuale.

L’artista lavora direttamente sulla tela, senza disegni preparatori, lasciando emergere forme e figure in modo spontaneo. Le pennellate sono rapide ed energiche, le colature di colore creano effetti di movimento e di instabilità, i segni lasciati dal gesto pittorico testimoniano il processo creativo che tende a riflettere l’immediatezza delle emozioni e tradurle in immagini visive. 

Mescolando figurazione e astrazione, Tracey Emin riesce così a evocare emozioni complesse e ambigue, lasciando allo spettatore la libertà di interpretare l’opera. Il colore ha un ruolo simbolico determinante nella cifra stilistica dell’artista: il rosso e il nero, il blu e il bianco sono i colori predominanti nelle sue tele, utilizzati per esprimere passione, dolore, rabbia e malinconia.

L’amore, esplorato nelle molteplici sfaccettature del desiderio, romanticismo, perdita, dolore, sessualità è tema centrale nell’arte di Tracey Emin, spesso intrecciato con esperienze personali dolorose.

I ricami affrontano il tema dell’amore con una delicatezza che contrasta con l’intensità delle emozioni rappresentate, utilizzando materiali tradizionalmente associati all’artigianato femminile per esplorare sentimenti profondamente personali. 

Anche nelle sculture in bronzo, sia quelle di piccole dimensioni che quelle monumentali, emerge il tema dell’amore, nelle sue espressioni di gioia o di sofferenza, oltre all’ esplorazione del corpo umano come luogo di connessione emotiva e fisica. 

Tracey Emin è oggi riconosciuta come una delle artiste più influenti del panorama contemporaneo, ma il suo percorso verso il successo internazionale non è stato privo di ostacoli. Dopo aver raggiunto la notorietà negli anni Novanta grazie alla sua partecipazione al movimento dei Young British Artists (YBA), Emin ha continuato a evolversi artisticamente, guadagnandosi un posto di rilievo nel mondo dell’arte globale. Nonostante il successo globale, Emin rimane profondamente legata alle sue radici britanniche, continuando a lavorare tra Londra e Margate.

L’artista inglese si pone dunque come una figura simbolica nella lotta per l’affermazione delle donne nell’arte contemporanea. Fin dagli inizi della sua carriera ha sfidato le convenzioni tradizionali che relegano le artiste donne a ruoli secondari o marginalizzati. 

“L’arte”, sostiene Tracey Emin, “dovrebbe sempre riguardare ciò che è vero per te come individuo, sempre. Dovrebbe essere sincera e nascere da un desiderio genuino di trovare le proprie risposte. Almeno, per me è così. Per molto tempo il mio lavoro è stato assolutamente fuori moda. Ma non m’importava, perché sapevo che era la cosa giusta per me”.

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