UNTRUE UNREAL mostra antologica dell’artista indiano Anish Kapoor a Palazzo Strozzi di Firenze

Paolo Orsini • gen 18, 2024

La mostra antologica Untrue Unreal dell’artista indiano Anish Kapoor, allestita nelle sale di Palazzo Strozzi a Firenze, a meno di un mese

dalla sua conclusione, ha superato i 100.000 visitatori

e può essere riassunta attraverso tre elementi chiave:

stupore, plasticità e il nero più nero di tutti.

“Attraverso opere storiche e recenti, tra cui una nuova produzione specificatamente ideata in dialogo con l’architettura del cortile rinascimentale, la mostra di Anish Kapoor "Untrue Unreal" rappresenta l’opportunità di entrare in contatto diretto con l’arte di Kapoor nella sua versatilità, discordanza, entropia ed effimerità. Palazzo Strozzi diviene un luogo concavo e convesso, integro e frantumato allo stesso tempo, in cui il visitatore è chiamato a mettere in discussione i propri sensi. Nell’arte di Anish Kapoor, l’irreale (unreal) si mescola con l’inverosimile (untrue), trasformando o negando la comune percezione della realtà, invitandoci a esplorare un modo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla dimensione dell’impossibile” (Alberto Galansino, curatore della mostra).

“Mio padre mappava l’ignoto” ha dichiarato Anis Kapoor. L’influenza paterna è determinante per capire le sue opere. Prem Kapoor era un uomo di mente aperta e curiosa. Ha fondato una società di import-export che commerciava prodotti tra l'India e altri paesi del mondo. Era sempre alla ricerca di nuove opportunità imprenditoriali e di modi per espandere i suoi orizzonti mentali. Questa continua ricerca ha influenzato l’approccio all’arte del figlio Anis, sempre alla scoperta di nuove forme e techiche e le cui opere suscitano stupore e inquietudini, mettendo in discussione ogni certezza e sollecitando lo spettatore ad accogliere la complessità.

Sempre alla ricerca del nuovo, la "mappatura dell’ignoto" di Anis Kapoor si concretizza nelle opere Non-object black, realizzate con uno speciale materiale, Il Vantablack, che suscita una sensazione quasi mistica con lo spazio circostante e con l’osservatore. Un invito inquietante a inabissarsi nelle profondità della materia e negli anfratti delle nostre oscurità. Il Vantablack è un materiale composto da nanotubi di carbonio disposti in modo che, quando la luce li colpisce, viene assorbita e trasformata in calore. È in grado di assorbire il 99,965% della luce visibile, rendendolo il materiale più nero mai creato. Anish Kapoor ha ottenuto l'esclusiva per l'uso del Vantablack in campo artistico. 

Le opere realizzate con questo materiale hanno un effetto sorprendente, creando un'illusione di profondità e di vuoto. Il Vantablack ha anche applicazioni pratiche in diversi campi, come l'astronomia, l'ingegneria e l'ottica; può essere utilizzato per costruire telescopi molto sensibili con lenti che concentrano la luce in modo più efficiente. Tuttavia, il Vantablack ha anche alcuni limiti: è molto fragile, può essere facilmente danneggiato, è molto costoso. Le sue applicazioni artistiche e pratiche sono ancora in fase di esplorazione.

Tenendosi alla larga da categorizzazioni semplicistiche e caratterizzandosi per un linguaggio artistico peculiare che fonda pittura, scultura e forme architettoniche, Anis Kapoor unisce spazi vuoti e pieni, superfici assorbenti e riflettenti, forme geometriche e biomorfe, invitandoci a esplorare i limiti e le potenzialità del nostro rapporto con il mondo che ci circonda e a riflettere su dualismi come corpo e mente, natura e artificio. 

Le sue opere obbligano lo spettatore a esperienze sensoriali forti, sia visive che tattili; soltanto in queste immersioni artista-fruitore è possibile compenetrare in profondità la cifra stilistica di Anis Kapoor. Questa compenetrazione è, purtroppo, limitata nella location fiorentina di Palazzo Strozzi, luogo strutturalmente poco flessibile per l’arte moderna, essendo un perfetto esempio di dimora familiare del Cinquecento. Gli artisti contemporanei che sono passati dalle bianche sale del Palazzo rinascimentale, come Ai Weiwei, Olafur Eiliasson o Jeff Koons, sono rimasti invischiati in una serie di confini che hanno arginato la loro creatività, come spazio limitato o preziosità architettonica-strutturale del Palazzo, mettendo in risalto l’assoluta necessità della realizzazione a Firenze di un vero e proprio museo di arte contemporanea, magari fuori dalla zona Unesco. 

Il percorso della mostra si articola in otto sale e propone opere storiche o di recente produzione che provano a dialogare con l’architettura del palazzo e con il pubblico. Palazzo Strozzi diviene un luogo quasi spirituale, dove gli opposti convivono e le percezioni sono messe alla prova. La realtà viene lasciata alle spalle e si varca la porta dell'impossibile, dell'inconsueto, dell'ignoto per mezzo dell’uso di materiali vari come pigmento, acciaio, pietra, cera e silicone, che vengono manipolati a tal punto da creare una dimensione atemporale e immateriale.

Dopo l’ingresso, al centro del cortile, troviamo il Void Pavillion VII, specificatamente ideato per il cortile di Palazzo Strozzi. Una forma quadridimensionale che si pone come punto di partenza e di arrivo nel percorso artistico della mostra. Al suo interno sono collocate tre forme rettangolari vuote, in cui lo sguardo dello spettatore s’immerge in un’esperienza meditativa su spazio, prospettiva e tempo, che sconvolge la razionale struttura geometrica e l’emblematica armonia dell’edificio rinascimentale.

La prima opera che s'incontra al piano nobile è l’iconica Svayambhu, termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente, corrispettivo delle immagini acheropite cristiane non dipinte da mano umana. L’opera, metafora della nascita, si pone in dialogo con gli altri lavori di forte impatto presenti nelle sale successive, come Endless Column, una monumentale colonna in pigmento rosso, e Non-Object Black, caratterizzato dall’uso del Vantablack, materiale altamente innovativo.

Lo stupore e il disorientamento aumentano di fronte all’opera A Blackish Fluid Excavation, una grande scultura in acciaio e resina che, con la sua imponente massa e plasticità, evoca tutta la tensione erotica di un organo sessuale. To Reflect an Intimate Part of the Red, è una delle opere più significative e suggestive di Kapoor, nella quale forme in pigmento giallo e rosso sembrano emergere dal pavimento.

Vertigo, Mirror e Newborn sono tre opere, esposte all’interno della sala degli specchi, che negano o deformano lo spazio, provocando uno stato di indefinitezza della realtà. A conclusione del percorso espositivo troviamo la sala dedicata all’opera Angel, grandi pietre di ardesia ricoperte da strati di pigmento blu intenso, in richiamo all’idea di purezza, che annulla totalmente la massa e la pesantezza della pietra.

“Il fruitore interviene a colmare i vuoti semantici” diceva Umberto Eco. La ricerca artistica di oggi si sforza, talvolta cogliendone l’essenza più profonda altre volte per tentativi, di definire la società contemporanea e a delinearne possibili scenari futuri. Accanto ai nuovi orizzonti tecnologici, all’ipercomunicazione e alla moltitudine di scambi che annullano o riducono drasticamente le barriere geografiche e culturali, l’artista contemporaneo cerca di rintracciare il senso dell’esistenza di sé nel rapporto con il mondo e con il pubblico fruitore della sua opera. Spesso, il risultato è un’ipertrofia di linguaggi, che spesso rischiano di reiterarsi al punto da scadere nella sterilità, mentre più raramente sono in grado di formulare soluzioni originali, comprensibili e accattivanti per il pubblico. Questo limite pare non abbia condizionato l'opera di Anis Kapoor.

Sebbene abbia sempre avuto un ruolo attivo nella decodificazione dell’oggetto estetico, oggi lo spettatore sembra occupare una posizione prioritaria nel rapporto con l'arte ma, non di rado, si riscontra in lui una sensazione di frustrazione nell’aggirarsi tra le opere d’arte contemporanea a causa di un lessico settoriale e di una frammentazione dei valori di riferimento che, invece, i mezi di comunicazione di massa riecono a sintetizzare, accordando gusti, stili e interessi del pubblico.

Nonostante gli sforzi degli artisti e dei mediatori – dal curatore al critico, dall’operatore didattico alla guida – il cortocircuito è innegabile. L’artista contemporaneao impiega tutte le sue forze per incontrare il pubblico, non riuscendo a volte a trovare un lessico condiviso. Una negoziazione non semplice, suscettibile di adattamenti continui e riformulazioni complicate, anche per la grande quantità di opere prodotte. Il successo è un'incognita dove il ruolo del critico, del divulgatore, del mercato e delle istituzioni si rivela determinante.  Difficilmente l’opera catalizza i desideri del pubblico, perchè soddisfatti attraverso altri sistemi, tra tutti, il cinema che, con la sua vocazione spettacolare e popolare, supera teatro, arte e letteratura.

Nonostante ciò, l’arte rappresenta ancora uno dei riti più radicati, sebbene non sempre esperiti con consapevolezza. La partecipazione del pubblico alle grandi mostre d'arte nasce in seguito ai processi di democratizzazione che investirono le istituzioni museali tra gli anni ’60 e ’70, i quali se da un lato hanno aperto i battenti a fasce più larghe di visitatori, al contempo hanno imposto una riflessione, ad oggi tutt’altro che chiusa, relativa all’accesso delle masse all’arte e dunque alle sue possibilità (o impossibilità) di comprensione. Ciò implica l’estensione del problema all’arte in generale e non, come più spesso si afferma sulla scia del «senso comune», specificamente all’arte contemporanea.

Questa riflessione sul rapporto tra artista e spettatore, tra arte e fruitore, va fatta in particolare per la mostra antologica di Anish Kapoor, il quale propone il suo percorso artistico con il preciso obiettivo di creare spazi immersivi che sfidino le apparenze e inducano l’osservatore a ricercare la propria verità attraverso l’interazione con le opere, le quali acquisiscono vita propria solo se messe in relazione con lo spazio espositivo e lo spettatore. Non a caso Kapoor sostiene che “il cerchio si conclude solo con lo spettatore”. 

Il rapporto tra l’arte di Anis Kapoor e l’architettura di Palazzo Strozzi è, senza dubbio, il confronto principale ma, al tempo stesso, quello più delicato e non privo di incertezze. La dimora rinascimentale è simmetrica e rigorosa, e realizzare una mostra all’interno delle sue sale non è facile. Il contrasto tra la simmetria e la rigidità delle sale e la plasticità delle opere dà vita a ciò che in questo caso qualcuno ha definito un “Rinascimento contemporaneo”. A fare da collante ai due opposti è senza dubbio il colore, un vero fenomeno immersivo dotato di vita propria, che riesce ad unire le forme plastiche allo spazio. La scelta di accostare colori cromaticamente vivaci ad opere che trascendono la propria materialità riesce a rendere questo confronto-scontro tra l'arte di Anis Kapoor e il palazzo rinascimentale meno banale e limitante. 

Più è difficile dare un significato ad un’opera, più sarà considerata eccezionale; più crea choc visivo, più sarà apprezzata. La mostra di Anish Kapoor riesce a rompere gli schemi: la scelta di stupire il pubblico e di renderlo un elemento attivo all’interno del confronto con le opere d’arte risulta una scelta intelligente e al passo con i tempi, visto che oggi il pubblico è sempre più abituato ad una comunicazione che predilige l'immediatezza espressiva.

Untrue Unreal si pone l’obiettivo di stordire il pubblico, di sovraccaricarlo di riflessioni e contrasti, per la gran varietà di materiali utilizzati, per l’alternarsi in maniera quasi ossessiva della ricerca dell’effetto, della distorsione della realtà effettuata dallo specchio. Il tutto inserito all’interno di uno equilibrio molto precario tra opere e ambiente, le prime esageratamente dinamiche, il secondo rigidamente stabile. Il risultato è quello di trasformare il percorso espositivo in un labirinto d’intrattenimento, in una sala delle meraviglie, più adatto alla ricerca del selfie piuttosto che a una riflessione vera e propria.

Se si cerca di andare oltre la forma e di proiettare l’intera ricerca artistica di Kapoor nel continuo dialogo degli opposti, nel riadattamento delle forme agli occhi dello spettatore e nelle innumerevoli diversità che ne scaturiscono, possiamo individuare questo dinamismo come elemento potente e suggestivo nella poetica artistica di Anis Kapoor, superando le scelte più mainstream ed elevandosi come una tra le più libere in assoluto.

Anish Kapoor ha dichiarato in passato, e continua a farlo, di non avere “niente da dire” con la sua arte; tuttavia è proprio con questo atteggiamento che spalanca le porte alla pura libertà di interpretazione. Egli pone dinanzi ai nostri occhi opere liquide, che si adattano al contenitore che le accoglie e alla visione di ogni singolo osservatore, il quale diventa l’innesco che attiva l’opera che esiste soltanto in un tempo e in uno spazio in cui esiste anche il pubblico. 

Di fronte all’incontro tra l’irreale e l’inverosimile, non tutte le opere riescono a mettere veramente in discussione i sensi del visitatore; tuttavia è proprio la scelta di soffermare l’attenzione nei confronti della materia delle opere, vera e propria unione di spirito e carne, e di utilizzare immagini archetipiche e preculturali, slegate da qualsiasi preconcetto, a rendere la mostra nel complesso coinvolgente ed interattiva, anche per gli spettatori più scettici e distanti dal mondo dell’arte contemporanea.

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